Balzac e l’alchymia

di Emmanuel d’Hooghvorst[1]
 

Le opere volgari ci parlano della saggezza esteriore intesa dall’esterno.
- I libri di filosofia ci parlano della saggezza esteriore vista dall’interno.
- I libri santi ci parlano della saggezza interiore conosciuta all’interno.
- I libri saggi ci parlano della saggezza interiore sperimentata all’esterno.
                           Louis Cattiaux, M+R, XXII-61

 

 

     Honoré de Balzac, quel genio cui “nulla d’umano fu estraneo”, s’interessò ai misteri dell’alchymia. Su questi era stato istruito, ci dice lui stesso, da un misterioso personaggio di cui più avanti parleremo. Due tra le sue opere soprattutto rivelano il suo interesse per la scienza di Hermès: “La Recherche de l’Absolu” [1834][2] ed il suo trattato storico su Caterina de’ Medici [1836][3].

In quest’ultimo libro, Balzac mette in scena l’alchymista della regina Caterina, il fiorentino Laurent Ruggieri, mentre spiega l’alchymia al re Carlo IX ed alla sua amante, Marie Touchet; un testimone silenzioso assisteva all’incontro, Cosme Ruggieri, l’astrologo della regina, fratello di Laurent[4].

            Una lettura attenta del discorso di Laurent rivela sorprendenti verità su questa scienza, sul suo materialismo integrale, celate tuttavia da un declamare in cui l’immaginazione dell’autore sembra farlo perdersi verso quello scientismo assai caratteristico del XIX secolo. Ma se, dopotutto, ha in tal modo mescolato vero e falso fu forse volontariamente, come sembra indicare un passaggio che citeremo ugualmente.

            Ecco dunque alcuni estratti, i più significativi, del discorso di Laurent allorché esprime la teoria degli alchymisti, secondo Balzac:

“ Per perseguire l’opera cui mi sono consacrato occorre crederci; e se il dito di Dio conduce ogni cosa, [allora] io sono un folle. Che il re lo sappia, dunque! Si tratta di una vittoria da conseguire sul divenire attuale della Natura umana. Io sono alchymista, Sire. Ma non pensate, come il volgare, che io cerchi di fare dell’oro! La composizione dell’oro non è il fine, ma un incidente delle nostre ricerche; altrimenti il nostro tentativo non si chiamerebbe “le Grand Oeuvre!”. Il Grand Oeuvre è qualcosa di assai più ardito di ciò. Se dunque io ammettessi oggi la presenza di Dio nella materia, al [suon della] mia voce la fiamma dei forni accesi da secoli si spegnerebbe domani. Ma negare l’azione diretta di Dio, non è negare Dio, non ingannatevi. Noi poniamo l’autore di tutte le cose ancor più in alto di quanto lo ribassino le religioni. Non accusate d’ateismo coloro i quali vogliono l’immortalità. Ad esempio di Lucifero, noi siamo gelosi di Dio, e la gelosia attesta un violento amore! Benché questa dottrina sia la base del nostro operare, tutti gli adepti non ne sono [ugualmente] imbevuti.”

Lo scopo del Grand Oeuvre è qui ben definito, “…una vittoria da conseguire sul divenire attuale della Natura umana…” che conduce alla morte: “Non accusate d’ateismo coloro i quali vogliono l’immortalità”! Ma questa formula, sorprendente di verità, si accompagna di riflessioni assai equivoche su Dio “l’autore di tutte le cose”. Qui si esprimono le opinioni scientiste del XIX secolo, che separano Dio dal mondo. Gli alchymisti, al contrario, riconoscono all’opera in questo mondo una natura divina che essi osservano e seguono nei loro lavori. Notiamo anche l’allusione a Lucifero, assai poco conforme al linguaggio degli adepti.

“L’uomo non è una creazione immediatamente sortita dalle mani di Dio, ma una conseguenza del principio seminato nell’infinito dell’etere in cui si producono migliaia di creature di cui nessuna si rassomiglia d’astro in astro, poiché le condizioni di vita vi sono differenti. Si, Sire, il movimento sottile che noi chiamiamo la vita trae le sue origini aldilà dei mondi visibili; le creazioni se ne appropriano secondo gli ambienti in cui esse si trovano, ed i più minuti esseri vi partecipano nella misura di quanto possono prenderne, a loro rischio e pericolo. A loro [tocca] di difendersi contro la morte.
 


(Tipus Mundi)
 

L’alchymia è lì tutta intera. Se l’uomo, l’animale più perfetto di questo globo, portasse in se stesso una porzione di Dio, egli non perirebbe, ed [invece] egli perisce. Per sortire da tale difficoltà, Socrate e la sua scuola hanno inventato l’anima. Io, il successore di così grandi re sconosciuti che hanno governato questa scienza, io sono per le antiche teorie contro le nuove; io sono per la trasformazione della materia che vedo, contro l’impossibile eternità di un’anima che non vedo. Io non riconosco il mondo dell’anima. Se tale mondo esistesse, le sostanze la cui magnifica riunione produce il vostro corpo e che sono a tal punto sfolgoranti in Madame[5] non si sublimerebbero dopo la vostra morte per ritornare separatamente ciascuna nella sua casella, l’acqua all’acqua, il fuoco al fuoco, il metallo al metallo, come quando il mio carbone è bruciato, i suoi elementi sono ritornati alle loro primitive molecole. Se pretendete che qualcosa ci sopravviva, questo non è “noi”, poiché tutto ciò che è il “me” attuale perisce! Orbene, è il “me” attuale che voglio continuare aldilà del termine assegnato alla sua vita; è la trasformazione presente cui voglio assicurare una maggior durata.”

Da buon materialista epicureo, Laurent nega che l’anima umana sia fattore d’unità, pur affermando che l’uomo trae, secondo una felice espressione, la sua esistenza da un “principio seminato nell’infinito dell’etere”. Tale etere, dice, è animato da un movimento sottile che noi chiamiamo la vita. È l’anima del mondo. Il riferimento alle dottrine pre-socratiche è qui evidente.

Ma Laurent trae argomento dal carattere effimero della forma umana al fine di negare l’anima particolare, identificata all’immanenza divina. Abbiamo qui un’allusione all’anima-entelechia di Aristotele.

Negando il mondo dell’anima, Laurent nega ciò che [comunemente] chiamiamo “mondo spirituale” che non avrebbe esistenza propria; nega anche, conseguentemente, ogni mistica, nel senso in cui questo termine è impiegato ai nostri giorni. La sola conoscenza [possibile] è di natura sensibile.

            L’uomo è dunque un aggregato destinato alla dissoluzione delle parti che lo compongono, dopodiché non c’è più uomo. Così dopo le operazioni della chimica usuale, i corpi si trasformano l’uno nell’altro senza che l’identità del primo si ritrovi nel nuovo.

            Ma per quanto riguarda l’uomo, nessuna metamorfosi sarebbe possibile se non ci fosse nella vita umana un principio fisico di permanenza che assicuri a tale aggregato una identità persistente: nessuna allusione a ciò, in questo passaggio.

“A che serve il potere, se la vita ci sfugge? Un uomo ragionevole non deve avere altra occupazione se non il ricercare, non se ci sia un’altra vita, bensì il segreto su cui ripone la sua forma attuale, per continuarla a suo piacimento! Ecco il desiderio che imbianca i miei capelli.”

”Tutte le nostre forze, tutti i nostri pensieri sono impiegati in questa ricerca, niente ce ne distrae. Un’ora dissipata per qualche altra passione sarebbe un furto alla nostra grandezza.”

“Quasi tutti si ostinano a combattere la natura intrattabile del metallo, poiché se troviamo diversi principi in tutte le cose, noi troviamo tutti i metalli simili ad essi stessi ne rispettivi minimi particolari.

            C’è qui, ante litteram, l’affermazione dell’unità di composizione della natura metallica?

”Quale potenza mantiene la vita in noi? Un movimento. Questo movimento, perché la scienza non lo coglierebbe?”

“Intorno a noi, sotto, sopra, si trovano gli elementi da cui sono sortiti gli innumerevoli milioni di uomini che hanno calpestato la terra prima e dopo il diluvio. Di che trattasi? Di sorprendere la forza che disunisce; al contrario, noi sorprenderemo quella che aggrega … quando le acque hanno coperto il nostro globo, ne sono usciti degli uomini che hanno trovato gli elementi della loro vita nella scorza della terra, nell’aria e nel loro nutrimento. La terra e l’aria possiedono dunque il principio delle trasformazioni umane, queste si fanno sotto i nostri occhi, con ciò che è sotto i nostri occhi; noi possiamo dunque sorprendere tale segreto.”

“Infine, io busso incessantemente alla porta della creazione, e busserò fino al mio ultimo giorno. Quando sarò morto, il mio mantello passerà in altre mani ugualmente infaticabili, così come giganti sconosciuti lo trasmisero. Favolose immagini incomprese, simili a quelle di Prometeo, Ixion, Adonis, Pan ecc… che fanno parte delle credenze religiose in ogni paese, in ogni tempo, ci annunciano che questa speranza nacque con le razze umane. La Caldea, l’India, la Persia, l’Egitto, la Grecia, i Mori si sono trasmessi il Magismo, la scienza più alta tra le scienze occulte, e che ha in deposito il frutto delle veglie di ciascuna generazione.

L’autore non sembra considerare la scienza degli alchimisti come un’eredità trasmessa da far prosperare, ma piuttosto come un progetto in divenire dalle origini dell’umanità. Da lì a considerare la scienza profana come la realizzazione progressiva del vecchio sogno degli alchimisti … [il passo è breve ed inevitabile].

“Il pensiero…è l’esercizio di un senso interiore… ciò non ha niente a che fare con ciò che si pretende di un’altra vita. Il pensiero è una facoltà che cessa perfino mentre siamo vivi, con le forze che lo producono.

-         Voi siete conseguente, disse il re sorpreso, ma l’alchymia è una scienza atea.

-         Materialista, Sire, il che è ben diverso. Il materialismo è la conseguenza delle dottrine indiane, trasmesse dai misteri di Iside alla Caldea ed all’Egitto e riportata in Grecia da Pitagora, uno dei semidei dell’umanità: la sua dottrina delle trasformazioni è la matematica del materialismo, la legge vivente delle sue frasi”.

Giammai un antico alchimista si sarebbe qualificato come “materialista”, non si troverebbe tale termine in nessuno dei loro trattati, per la [semplice] ragione che non aveva alcun senso prima della fine del XVIII secolo. Qualificando l’alchymia come materialista, ciò che effettivamente è, Balzac mostra qui la profondità della sua comprensione.

“I due fratelli salutarono Marie e Carlo IX e si ritirarono. Scesero gravemente i gradoni senza guardarsi né parlarsi. Non si voltarono verso gli incroci neppure quando giunsero nel cortile, certi che l’occhio del re li spiasse… quando l’alchymista e l’astrologo furono in rue de l’Autruche”, lì, trovandosi soli, Laurent disse a Cosme nel fiorentino di quel tempo: “Affé di Dio! Come lo abbiamo infinocchiato! Gran Mercè! A lui sta di pastojarsi[6]!”, disse Cosme

Qualche giorno dopo questa scena che colpì Marie Touchet quanto il re, nel corso di uno di quei momenti in cui lo spirito è, in qualche modo, svincolato dal corpo dalla pienezza del piacere, Maria esclamò:  “Carlo, me lo spiego facilmente Laurent Ruggieri, ma Cosme non ha detto niente! – È vero, disse il re, sorpreso da questa luce sottile, c’è tanto vero quanto falso nel loro discorso.”


(Ritratto di Carlo IX)

Alcuni penseranno forse:

“Io non ritrovo in queste pagine lo spirito degli antichi testi: c’è più scientismo che alchymia lì dentro. È del progresso delle scienze che ci parla Balzac sotto le spoglie dell’alchymia.

            L’autore, riteniamo, ha rivestito la sua alchymia d’un manto romantico e la sua declamazione divarica spesso dalla forma adottata dagli Antichi. Inoltre, essa si allontana talvolta anche in sostanza. Ne abbiamo già segnalato i punti deboli: la nozione di Natura, per esempio, è assente in questa esposizione. Poi, c’è quella frase equivoca nel primo estratto: “La composizione dell’oro non è il fine, ma un incidente delle nostre ricerche”.

In che senso?

            Abbiamo anche sottolineato alcune riflessioni che un Adepto non sconfesserebbe; se ne troveranno altre dello stesso genere e che non abbiamo ritenuto dover porre in evidenza servendosi di un commento. Poi c’è la confessione dello stesso Balzac: egli ha ottenuto queste informazioni sull’alchymia da un anziano [signore], discepolo del Conte di Saint Germain!

            Laurent e Cosme Ruggieri avrebbero avuto come discepolo, in effetti, ci dice Balzac, il famoso Conte di Saint Germain di cui così poco sappiamo, benché gran scalpore fece durante il regno di Luigi XV. Non aveva meno di 130 anni quando apparve alla corte di Versailles (sarebbe contemporaneo di Marion de Lorme!). Raccontava ai re alcuni aneddoti sulla “Saint-Barthélemy[7]” ed il regno dei Valois, parlando alla prima persona; ma li sapeva da Ruggieri! E Balzac aggiunge:

  “Il conte di Saint Germain è l’ultimo degli alchimisti che meglio hanno spiegato questa scienza: ma nulla ha scritto. La dottrina cabalistica esposta in questo studio procede da tanto misterioso personaggio. Strana casa! Tre esistenze d’uomo, quella del vecchio da chi provengono questi insegnamenti, quella del conte di Saint Germain e quella di Cosme Ruggieri, bastano per abbracciare la storia europea da Francesco I fino a Napoleone.”

            Balzac era, certamente un grande spirito, il maggior genio del XIX secolo, teso verso lo studio analitico della storia e della società francese del suo tempo. Non vorremmo congedarci da lui in queste poche pagine senza citarlo ancora una volta, non i relazione con l’alchymia questa volta; ma speriamo di far cosa gradita con quest’ultima citazione.

            Si sa che l’apparire del protestantesimo nel XVI secolo è stato considerato dagli storici come la prima manifestazione collettiva della libertà di pensiero. La Saint-Barthélemy, quel massacro tanto crudele quanto inutile, sarebbe stato come un disperato tentativo di schiacciarla in embrione:

“… Laurent dice a Carlo IX:

-         Noi possiamo, in solitudine, intravedere i fatti salienti dell’avvenire. Il protestantesimo che vi divora sarà a sua volta divorato dalle sue conseguenze materiali, che diventeranno teoria nel loro giorno. L’Europa ne è oggi alla religione, domani essa attaccherà la monarchia regale.

-         Allora la Saint-Barthélemy era un gran disegno!

-         Si, Sire, poiché se il popolo trionfa, farà  la sua di Saint-Barthélemy! Quando la religione e la regalità saranno abbattute, il popolo se la prenderà con i grandi, dopo i grandi se la prenderà con i ricchi. Infine, quando l’Europa non sarà più che una mandria di uomini senza consistenza, perché sarà senza capi, essa sarà divorata da rozzi conquistatori. Venti volte già il mondo ha presentato tale spettacolo, e l’Europa lo ricomincia. Le idee divorano i secoli, come gli uomini sono divorati dalle loro passioni.” 

Questo programma è quasi [completamente] realizzato ai nostri giorni.

 

 

Chi conosce meglio il divino Signore di vita? I semplici pastori? I sapienti magi? I fedeli adoratori? I discepoli benedetti? I credenti devoti? Oppure colui che conserva la Vergine santa, che la fa partorire in segreto ed alleva il bambino venuto dal cielo?
O intelligentissimi, o sapientissimi, o importantissimi, rispondete, se siete capaci di comprendere la domanda
.
                             
Louis Cattiaux, M+R, XXII-61’

 

Emmanuel d’Hooghvorst


 

[1] Il presente brano è pubblicato quasi in appendice a “Le fil de Pénélope, Antologie Alchymique”, ed. La Table d’Emeraude, Tome II, Parigi, 1998, ISBN 2-903-965-47-1, pagine.268 a 276.

[2] H. de Balzac, La comédie humaine, éd. Gallimard (Bibliothèque de la Pléiade), Paris 1937, t. IX.

[3] Idem, t. X

[4] Abbiamo lasciato i nomi dei presunti fratelli Ruggieri nella loro veste in lingua originale, riportandoli come nel testo di Balzac. Cosimo Ruggieri è figlio di un medico, astrologo ed indovino (Ruggiero il vecchio). La data di nascita di Cosimo non è nota, ma dev’essere della stessa generazione di Caterina de’ Medici, nata nel 1519. Secondo Balzac, che consacrò larga parte dei suoi studi filosofici ai Ruggieri (la confidence des Ruggieri), Cosimo, Cosimus o Cosme avrebbe avuto un fratello, Laurent (Lorenzo). I loro nomi deriverebbero dal fatto che i due duchi di Toscana, Lorenzo e Cosimo, sarebbero stati i loro padrini. Ciò tenderebbe a provare che Caterina e Cosimo si conoscessero già in giovanissima età. Insieme attraverseranno una assai tormentata esistenza. Non si hanno invece notizie certe di Laurent.

[5] Marie Touchet, amante del re Carlo IX, poiché anche lei assisteva all’incontro.

[6] La citazione è integrale dal testo in lingua originale; l’ultimo termine è equivalente a districarsi.

[7] Ci si riferisce ai drammatici eventi occorsi nella tragica notte del 24 agosto 1572.

 
 
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